Del vecchio Hotel Meina oggi non rimane che uno scheletro di cemento e mattoni. Ma le rive del Lago Maggiore sono generose di antiche dimore affacciate sull’acqua. E non è stato difficile per Carlo Lizzani fermarsi a Baveno, scegliere sale e cantine dell’Hotel Lido spogliate di ogni argento e paramento di lusso e ricostruire qui una pagina di storia mai portata sul piccolo e grande schermo. Sul film che getta luce sul primo eccidio di ebrei avvenuto in Italia, 54 persone uccise dai nazisti a ridosso dell’armistizio, di cui 16 a Meina, nell’omonimo albergo, pesa ora anche la tristezza del caso sollevato di recente da chi quei giorni li visse in prima persona. La signora Becky Behar, allora tredicenne, non si riconosce nella sceneggiatura firmata da Dino e Filippo Gentili con Pasquale Squitieri, ma il maestro Lizzani, da ieri sul set, è positivo e tranquillo: «Questo film - dice - è anche il mio contributo nella lotta contro l’antisemitismo. Sono a mio agio, mi sono sempre occupato di storia e di cronaca. E non è la prima volta che affronto una cornice di polemica. Una sceneggiatura è come una partitura musicale. Va giudicata a opera finita. E alla Behar va tutto il mio rispetto per le ferite atroci che porta nell’anima».
Ed è puro caso, ma nel primo giorno di riprese si comincia dalla fine di quella tragica vicenda e si gira nelle cantine la fuga verso il confine svizzero della famiglia Behar, Benar nel film, ebrei di origine turca e gestori dell’Hotel Meina dove nel settembre 1943 per alcuni giorni si trovarono a convivere un gruppo di ebrei benestanti, alcuni villeggianti italiani e tedeschi e una formazione di SS. Papà Giorgio Benar (interpretato da Danilo Nigrelli) nel primo ciak controlla un passaggio segreto. Sposta un attaccapanni in un ripostiglio e scopre una rampa di scale che scende verso le cantine. Di qui farà passare la moglie Camy (Marta Bifano) e i piccoli Noa (Ivana Lotito nel ruolo di Becky Behar) e Marcel (Fabio Marchese) riuscendo così a mettere in salvo tutta la famiglia. «Il loro senso di colpa è enorme, se ne vanno lasciando degli amici innocenti e senza sapere quale destino li attenda», sottolinea Marta Bifano.
Un film corale, Hotel Meina, dove gli attori, quasi tutti di estrazione teatrale, sono volti poco conosciuti al grande pubblico «per dare ancor più un tono di verità a quegli eventi», spiega Carlo Lizzani. «L’Hotel Meina - prosegue il regista - da teatro di una grande tragedia, vuole rappresentare un luogo al di là della cronaca, un luogo dove è passata tutta la storia di un’epoca».
E’ vero, nel film sono stati aggiunti momenti d’amore che nella realtà non trovano riscontro in quei giorni drammatici dove gli ebrei uccisi vennero gettati nel Lago Maggiore con i corpi trafitti dalle baionette affinché restassero sul fondo. «Ma talvolta è un “tradimento” obbligato - dice Ida Di Benedetto, produttrice del film per la Titania, in collaborazione con Rai Cinema e il contributo di Film Commission Torino Piemonte -. Anche nei titoli di coda viene sottolineato come Hotel Meina sia liberamente tratto dall’omonimo saggio di Marco Nozza, con l’aggiunta che alcuni personaggi sono di fantasia. Rientra nel lavoro creativo filtrare la realtà e renderla maggiormente incisiva per il cinema».
Così come possono esserci personaggi che la storia ci rimanda «incompiuti», dice ancora la Di Benedetto, e che «il regista definisce e completa»: è il caso della donna tedesca collegata a un gruppo di esiliati di varie nazionalità che viene a trovarsi per caso a Meina, scopre la tragedia, cerca di salvare più vite possibili dalla furia nazista. Cora, interpretata dall’attrice tedesca Ursula Bushhorn, subirà anche le avances del comandante delle SS Krassler (Benjamin Sadler, che vedremo presto in Caravaggio), ma tutto questo è pura finzione cinematografica. Struggente, delicato, appena abbozzato è poi il sentimento che lega la giovanissima Behar a un diciottenne sfollato nell’albergo (Federico Costantini) e che perderà la vita.
Il film si apre su una giornata di sole in riva al lago: i turisti dell’Hotel Meina sono in spiaggia, ridono, ascoltano alla radio Badoglio, non sanno che le SS della corazzata Leibstandarte Adolf Hitler di lì a poco cominceranno a separare ebrei da non ebrei, uomini da donne e bambini. Sedici di loro, nell’ultima sequenza del film, galleggeranno morti in quelle stesse acque.
Fonte: La Stampa
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